Thursday, February 22, 2007

Il giurin-giurello del “lider Massimo”

E adesso non facciamo che ci si tira indietro. Che si dice “ma noi avevamo scherzato”. Che era un anticipo sul primo di aprile e che era la fine di carnevale. Vi è piaciuta la marcia di Vicenza? Con Fausto Bertinotti un poco afflitto per non esserci andato, Oliviero Diliberto orgoglioso di sfilare con il pugno chiuso, Marco Rizzo sprizzante falce e martello da tutti i pori, i cattocomunisti veneti sfilanti e compunti e misurati come se dovessero andare a mettere la mano sulla tomba del Santo (in Veneto il Santo per antonomasia è Sant’Antonio, immigrato portoghese ma naturalizzato patavino)? Vi è piaciuto Oreste Scalzone, con cappello da fuoriuscito e fisarmonica in spalla che cantava gli inni di ogni tipo di rivoluzione, anche quella copernicana? E poi, vi sono piaciuti i Casarini ed i Caruso, che invece del solito piccone portavano un cero a Santa Barbara, la protettrice degli artificieri, quelli che in futuro dovrebbero far saltare l’ecomostro rappresentato dalla base Usa della periferia vicentina? E ci avete preso gusto ai pipponi dei commentatori politicamente corretti della grande stampa fiancheggiatrice, quelli che avevano sentenziato che in fondo “che vuoi che sia per gli Stati Uniti una base in più o in meno”? Quelli che avevano spiegato come la storia della conferenza di pace aperta alla partecipazione di Iran, Pakistan, Iraq e, possibilmente, anche Bin Laden, avrebbe consentito alle truppe italiane a Kabul di rinunciare alla guerra, dedicarsi all’amore ed ingravidare tutte le afghane compiacenti presenti nei territori dove sventola il tricolor? Insomma, v’è piaciuto giocare sulla pelle della politica estera italiana? Adesso si paga pegno. “Giurin, giurello, caro D’Alema, l’avevi detto. E ora fallo!”.

Lo sbobinato dell’incontro Prodi-Bertone

Pare che sia andata così: “ Dica, dica ....”. Ha esordito il cardinale Tarcisio Bertone guardando dritto in faccia il Presidente del Consiglio Romano Prodi. “Dico...” Ha risposto il “professore” sibilando in bolognese come quando cerca di confondere il proprio interlocutore. “Come dice ?” Ha incalzato Bertone, che ha lo stesso nome del mitico terzino dell’Inter e della Nazionale Burgnich e sembra essere altrettanto roccioso. “Dico, direi, potrei dire...” Cosi tra detti, non detti e contraddetti è andato avanti il colloquio riservato in cui ognuno ha detto la sua senza dire nulla di più di quanto aveva già detto nelle ore precedenti. Poi i rispettivi uffici stampa hanno messo mano alle solite formule diplomatiche che si usano in questi casi. Ed è uscita fuori la storia dell’incontro franco ma cordiale, corretto ma sereno, positivo ma rispettoso delle reciproche posizioni. Insomma dell’incontro che, al di là del grande contorno fatto di massime autorità e perfetta etichetta, non è servito ad un bel niente. Per il “Corriere della Sera” si è trattato di un gran risultato. E c’è mancato poco che Paolo Mieli non titolasse “Habemus Pacs!”. D’altro caro bisogna capirlo. L’altro ieri il governo ha deciso di pagare per i prossimi sette anni lo stipendio di duemila lavoratori licenziati dalla Fiat, comproprietaria di Rcs. Figuriamoci se il quotidiano di via Solferino avrebbe mai osato scrivere che l’incontro è stato disastroso e Bertone, da buon Tarcisio, ha anche allungato un calcio sullo stinco al fine dicitore Prodi. Così la balla del Corriere non l’ha bevuta nessuno. Ed a tutto è apparso chiaro che tra il dico ed il non dico non si è concluso nulla. Tranne per quanto riguarda la conferma che da adesso in poi la Chiesa continuerà a dirne quattro al centro sinistra. Ma chi l’ha detto? Dicunt.

La competenza della Rame

Il preambolo è questo. “Studio aperto”, il telegiornale di Italia Uno diretto da Mario Giordano, manda in onda un tormentone con Franca Rame che, in compagnia del marito e di una coppia di amici, guarda la televisione ed al momento della apparizione sullo schermo del ministro della Difesa Arturo Parisi, commenta : “Eccolo qui il c..one. Ha la dentiera nuova”. Il giorno dopo il Corriere della Sera riporta la notizia e la intitola “Rame insulta Arturo: ha la dentiera nuova”. Dato il preambolo ora la vicenda ha preso due pieghe diverse. La prima riguarda la faccenda della dentiera del ministro della Difesa. Che per il giornale di Paolo Mieli è diventato un insulto. Magari bavoso e non sanguinoso, ma un insulto a tutti gli effetti. Nessuno ha capito bene perché mai sia insultante dire ad un tizio che ha la dentiera, nuova o vecchia che sia. Ma a via Solferino, dove per questioni di patto di sindacato tutti hanno denti sanissimi ed aguzzi, pare che dare dello sdentato a qualcuno sia una offesa e dirgli che ha i denti finti equivalga ad uno sputacchio in un occhio. Pensa Maurizio Costanzo quanti duelli avrebbe dovuto fare da quando si è rifatto l'apparecchio! La seconda piega tocca invece il “c..one”. Studio Aperto ha coperto la parola con il fatidico bip. Il Corriere della Sera l'ha lasciata indefinita. Piazzando però due acconci puntini. Che escludono l'eventualità che la Rame abbia voluto dare a Parisi del “caprone”, del “capoccione”, del “castrone”, del “cappellone” e via di seguito. E lasciando intendere che la senatrice di Rifondazione Comunista e componente attiva della maggioranza, abbia voluto appellare il ministro della Difesa del proprio governo con l'epiteto di “coglione”. La signora, moglie di Dario Fo, sì che se ne intende!

Friday, February 16, 2007

La ciofeca di Rutelli

Vittorio Sgarbi aveva ragione. Anzi, ragionissima. Il cassettone in cui Richard Meier ha rinchiuso l'Ara Pacis è un pasticcio, un obbrobrio e, per dirla alla Totò, una ciofeca. Non è che che la baracca razionalista di Morpurgo che ospitava l'altare della pace del Divo Augusto fosse meglio. Sempre una pataccata era. Solo un po' meno invasiva e pacchiana della costruzione del rinomato architetto, amato dalle giunte di sinistra romane, che a fianco del mausoleo dell'Imperatore ha messo in piedi su Longotevere una baracca in tutto simile ad un ospedale rumeno degli anni '50. Vittorio Sgarbi aveva ragione, anzi ragionissima, anche nel sostenere che la puttanata sarebbe costata un occhio della testa ai contribuenti. E la denuncia della Corte dei Conti, che ha avviato una serie di controlli sull'operato delle giunte Rutelli e Veltroni, ne è la conferma più evidente e clamorosa. Qualcuno dovrà pur spiegare come mai un' opera che in partenza doveva costare 7 milioni di euro, in arrivo ha superato la bella cifra dei 14 milioni. E' vero che al raddoppio delle spese per le opere pubbliche siamo abituati. Il caso degli stadi di Italia '90 insegna. Ma c'è un limite a tutto. E spendere 14 milioni per quattro mura e quattro vetri assemblati alla bene in meglio vuol dire superare abbondantemente questo limite. Ciò detto va però messo in chiaro che, definite le eventuali responsabilità amministrative o penali per il miracolo della moltiplicazione dei milioni di spesa, sulla “teca” di Meier indietro non si torna. A nessuno salti in testa di buttarla giù e di ricominciare tutto da capo. Con nuovi Meier, nuove polemiche, nuove spese. Limitiamo il danno. Rutelli c'è l'ha data, guai a chi la tocca. La ciofeca.

I diari e l’inglese bollito

E’ dalla fine degli anni ‘60 che che a “Il Messaggero” hanno il numero di telefono di un solo storico: Denis Mach Smith. Qualche revisionista scopre che Vittorio Emanuele II aveva le vene varicose? La redazione cultura telefona all’inglese per un acconcio parere. Si ipotizza che nel ‘36 l’Italia avrebbe usato la bomba atomica (se l’avesse avuta) nella guerra d’Abissinia? Riecco che la redazione cultura interpella il nostro uomo che assicura come il regime avrebbe usato anche i laser, il raggio della morte e le bombe puzzolenti pur di mettere in piedi un Impero di carta stupidamente concorrente con quello di ferro della Corona britannica. Così, succede che Marcello Dell’Utri scopre l’ultima serie dei diari del Duce. Scatta la solita telefonata all’ormai anziano specialista delle furibonde litigate ottocentesche tra Cavour e Garibaldi. Ne esce fuori una verità variabile: i diari di Mussolini scoperti da Dell’Utri sono sicuramente falsi. Che se non sono falsi sono stati falsificati dallo stesso Benito. E che se non sono falsi e non sono falsificati, sono sicuramente noiosi perché evidentemente scritti dal Capo del Fascismo con l’idea di vendersi sul mercato editoriale americano a guerra persa ed a Palazzo Venezia perduto. Ora, la verità variabile ha sicuramente un pregio. Può essere che una delle sue varianti ci indovini. E che i diari siano stati falsificati dallo stesso Duce, che siano noiosi. Ma c’era bisogno di telefonare al Matusalemme degli storici di parte per sapere che se l’acqua viene posta sopra il fuoco si riscalda? Ed era proprio necessario consultare il fiero difensore della sacralità dell’Impero britannico per avere come risposta la frescaccia di un Mussolini che dal ‘35 al ‘39 scrive diari fasulli nella previsione che nel giro di dieci anni perderà guerra e fortuna e dovrà bussare a quattrini agli editori Usa?E poi dice che Mario Appelius aveva torto. Dio stramaledica l’inglese. Se è bollito!

Wednesday, February 14, 2007

Prozac a D’Avanzo

A Giuseppe D’Avanzo sta sulle palle Niccolò Pollari. Non passa giorno che il giornalista de “La Repubblica” non trovi uno spunto qualsiasi per dare addosso all’ex capo del Sismi. Una volta è il caso Telecom, un’altra quello del segreto di stato su Abu Omar. E via di seguito. Con una continuità ed una determinazione tali da far seriamente pensare ad una vera e propria sindrome ossessiva da parte del baffuto pistarolo del giornale fondato da Eugenio Scalfari. Ora su questa sindrome è caduta come il cacio sui maccheroni la liberazione in Egitto dell’Imam che a Milano reclutava i fondamentalisti islamici da mandare a fare i terroristi in Iraq. E D’Avanzo ne ha subito approfittato per lanciare la sua solita litania contro Pollari sostenendo che, una volta libero, Abu Omar potrà tornare in Italia ed incastrare l’ex responsabile dei servizi segreti italiani. Confermando di essere stato rapito a Milano da Cia e Sismi messi insieme. E smentendo la diceria secondo cui il rapimento sarebbe stato falso, lui stesso un infiltrato della Cia nel mondo dei terroristi e l’invio sotto scorta in Egitto organizzato per impedire alla magistratura italiana di arrestarlo, smascherarlo e mettere in condizione i terroristi di fargli pagare caro il suo doppio gioco. Nell’ansia di non perdere l’occasione per sputtanare Pollari, D’Amico l’ha fatta fuori dal vaso. Perché è facile pronosticare che difficilmente Abu Omar rimetterà piede nel nostro Paese! Se venisse sarebbe arrestato dai magistrati milanesi desiderosi indifferentemente di dimostrare sia il rapimento ad opera di Cia e Sismi, sia il suo doppio gioco a favore degli Usa. Non ci vuole una grande scienza per immaginare che d’ora in avanti Abu Omar avrà solo una preoccupazione. Quella di negare di essere mai stato un infiltrato. E proclamare ai quattro venti di essere stato vittima del terrorismo di stato dell’America di Bush e dell’Italia dell’allora Silvio Berlusconi. Ma Abu Omar si gioca la pelle. Giuseppe D’Avanzo solo la sua ossessione. Il primo può essere aiutato col silenzio. Il secondo col Prozac.

Tuesday, February 13, 2007

Sveglie e campane

L'Arcigay ha annunciato che il 10 marzo terrà una grande manifestazione a Roma per lanciare la campagna in favore della modifica del disegno di legge sui “Dico” considerato “assolutamente insufficiente". Ci sarà una marcia per le vie della Capitale. Ci saranno i canti ed i balli tipici dei “Gay pride”. Ma, soprattutto, ci sarà la novità rappresentata dal fatto che ogni partecipante alla manifestazione porterà al collo una sveglia. Ed al momento opportuno farà scattare la suoneria per significare “sveglia, è l'ora dei diritti”. Ora, i soliti eterosessuali in preda ad ossessione omofobica ed antigay hanno già incominciato ad ironizzare su questa particolarità della manifestazione. Ed hanno proposto di aggiungere alle sveglie al collo anche gli anelli al naso. Ma la loro, diciamo la verità, non sembra una grande trovata. Che vuoi ironizzare quando per i partecipanti ai gay pride anelli, collanine e perline fanno parte degli accessori d'ordinanza di ogni buon manifestante sessualmente corretto? Più temibile, invece, appare l'idea dei gruppi più oltranzisti del mondo cattolico di reagire alla trovata degli omosessuali dichiarati seguendo l'esempio di Pier Capponi e della sua storica minaccia : “Voi suonerete le vostre sveglie, noi suoneremo le nostre campane!”. La faccenda è seria. Un po' perché a Roma le campane abbondano. E un po' perché tra i campanari in abito talare anche i gay, come le campane romane, sono in abbondanza. C'è il rischio, insomma, che molti suonino contemporaneamente sveglie e campane. E che la contrapposizione tra gay e cattolici serva soltanto a risvegliare lo spirito plebeo della fascia grigia del popolo romano. Quella di Giuseppe Gioacchino Belli e del “co sti canti e co sti soni, avete rotto li cojoni”.